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Collezione

Collezione

Benvenuto (Riccardo) FERRAZZI, Self-portrait (Meditation), 1940

Benvenuto (Riccardo) FERRAZZI Castel Madama, 1892-Roma, 1969

Autoritratto (Meditazione), 1940
Olio su tela
102 x 106 cm
Firmato e datato in basso a sinistra sul libro: Ferrazzi 1940 Sul retro dedica: Al carissimo amico Alfredo Piccone 20 -7-1943 Ferrazzi B
Maggiori informazioni

Bibliografia

Laura Moreschini, Benvenuto Ferrazzi (1892 -1969) Il realismo fantastico tra le avanguardie del Novecento, catalogo della mostra a cura di Laura Moreschini e Valerio Rivosecchi, musei della Scuola Romana casino dei Principi Villa Torlonia Roma 25 maggio – 25 settembre 2016, Artemide editore 2016, p. 190

Il dipinto è firmato e datato 1940 in calce al componimento poetico scritto sul libro in basso a sinistra. Si deve ritenere la versione successiva ad un’altra, conservata nelle collezioni della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e, come quella, è da ritenersi esemplare sia per l’alta qualità pittorica, che per la complessità del tema trattato. Un’opera cardine, mediante la quale l’artista aveva enunciato la summa del proprio pensiero.
Sul retro della nostra tela è ben visibile la dedica indirizzata all’avvocato Alfredo Piccone, amico della famiglia Ferrazzi, il cui nome ricorre in una cartella di documenti conservata tra le carte di Ferruccio, denominata “corrispondenza avv. Piccone – Gasperini”, contenente alcune lettere inerenti alla divisione dell’eredità di Stanislao Ferrazzi tra i quattro figli, un’annosa questione che si risolve verso il 1941.
Rispetto alla versione della GNAM, il nostro dipinto è differente nella parte del componimento poetico scritto sul quaderno aperto. Si tratta quasi sicuramente di una poesia dello stesso Benvenuto, che recita: “oh sommo Iddio che la scorza frale/ della vita mortal a me donasti,/ schiavo del mondo del denaro; / conturbato dal sesso che ci atterra./ Stanco di vita grama e gli occhi fisso / sull’infinito ciel nero e perlaceo! / vorrei volare e celarmi al mondo….”.
Una fotografia dell’opera, conservata nell’Archivio di Ferruccio Ferrazzi, sul retro reca manoscritto un appunto di mano dell’artista: “Castelmadama maggio 1941 – proprietario l’autore IXX (sic!)” (1) , e testimonia come quella parte sia stata ridipinta, probabilmente in seguito alla decisione di offrirlo in dono a Piccone.
Interessante è l’impianto del quadro, diviso tra piani opposti, a simboleggiare la menzogna e la verità mediante il contrasto creato tra la zona d’ombra e la luce, da cui affiora il volto dell’artista; egli sembra quasi emanare un chiarore proprio, insieme alla bambola, all’ombrello, al libro aperto. Insieme al vaso con i fiori quasi appassiti, forse per ricordare che “Sic transit gloria mundi”. Queste cose sono come colpite dalla grazia divina. È la nuova consapevolezza del pittore, il quale con il volto calmo e assorto ci guarda, assumendo la posa della Melancolia (1514), l’opera più enigmatica di Durer, che tra le rappresentazioni scolastiche delle virtù simboleggia quelle intellettuali(2).
Alle spalle dell’artista una zona d’ombra, delimitata in basso da una porzione di cornice e da un frammento di scritta che si legge da destra a sinistra – quasi un monito: “ad haec mors” – ed è come riflessa in uno specchio immaginario, nel quale campeggia la classica raffigurazione della Morte che indica un gruppo di oggetti sormontati da un teschio. Sono posti a rappresentare la “vanitas”, i beni terreni “ciò che è vano e transitorio” (per ricorrere alle già citate parole di Sinibaldi). Sono un ventaglio, un calamaio, un violino, assemblati insieme ad altri oggetti, senza dubbio non casualmente disposti e riconducibili all’iconografia massonica, quali sono il libro, il compasso, la squadra e il regolo, emblematicamente contrapposti alla scritta che si intravede sul muro con la data: 15 marzo 1939 e lo scarno elenco dei possedimenti terreni dell’artista: camicia 1/fazzoletti 4/ asciugamani 1.
Simmetricamente posta di fronte alla figura della Morte, una lanterna. Non illumina ma è piuttosto l’emblema della ricerca della Verità, ed è qui ad indicare la presenza reale di Dio, come è sottolineato anche dall’edicola votiva con il cuore ardente di Gesù sovrastato dalla colomba, animale usualmente utilizzato per rappresentare lo Spirito Santo e la Resurrezione, un concetto ribadito anche dal ramoscello d’olivo che la incornicia. Infine la civetta impagliata con le ali inchiodate al muro, un animale simbolicamente legato alla dea Athena e alla conoscenza, che rafforza la chiave di lettura di quest’opera come inno alla rinascita, avvenuta per Ferrazzi nel segno della fede, senza la quale egli ritiene inutile perfino la conoscenza.
A partire dal 1931 Benvenuto Ferrazzi ha dipinto ed esposto diversi autoritratti. Oltre al quadro in oggetto, sono noti almeno altri quattro piccoli autoritratti e due grandi e complesse composizioni aventi lo stesso soggetto: Autoritratto nello studio (1942), nel quale il pittore è a figura intera riflesso in uno specchio, già collezione Sinibaldi e oggi disperso, e lo Studio con autoritratto, ovvero Chimera (1958), oggi nelle collezioni della Galleria d’Arte Moderna di Roma. E’ noto che la tela denominata Meditazione, spesso ricordata anche con l’appellativo di Autoritratto con la morte, pur datata 1931, viene esposta nel 1951 alla VI Quadriennale di Roma e, in quell’occasione, acquisita per la Galleria Nazionale d’Arte Moderna(3). Inoltre un Autoritratto viene sicuramente esposto nel 1943 alla Quarta Quadriennale, così come successivamente, anche nelle mostre personali tenute alla Galleria Fiorani nel 1952 e alla Galleria di Roma nel 1958, ma la scarsità del materiale documentario iconografico relativo alle sue opere esposte, impediscono che si possa dire con certezza di quali si sia trattato.
Scarse le notizie sulla formazione dell’artista che avviene nell’ambito della bottega del padre Stanislao Ferrazzi. Fratello minore del più noto Ferruccio, nel 1913 si reca a Parigi, dove è annoverato tra i copisti del Louvre (4).Tornato a Roma, dopo aver modificato il proprio nome da Riccardo in Benvenuto, in omaggio a Cellini, a partire dal primo dopoguerra esordisce nelle mostre organizzate dalla Casa d’Arte Bragaglia.
Nel corso del terzo decennio del Novecento, abbandonato l’iniziale debito stilistico contratto con il Futurismo, Benvenuto dà vita ad un “realismo” incantato, favolistico e onirico che denota un’affinità elettiva con la pittura di Henry Rosseau (e come il Doganiere è ben lungi dall’essere di semplice lettura), un personale linguaggio pittorico di cui il presente quadro è esemplare, secondo il quale l’artista è portatore di una poetica complessa e unica nel panorama dell’arte italiana, che lo avvicina piuttosto alle estreme propaggini dell’arte Simbolista europea. Un aspetto puntualmente rilevato da Moreschini nell’esauriente monografia dedicata recentemente al pittore, con la quale gli è stata restituita la giusta collocazione nel panorama artistico internazionale (5).
La pittura di Benevenuto è caratterizzata dalla delimitazione di zone di colore con una decisa linea di contorno, un tratto non sempre compreso dalla critica del suo tempo che dimostra una certa affinità con i dipinti dei coevi Riccardo Francalancia o Antonio Donghi, segnatamente per quei quadri densi di atmosfere, come di realtà sospesa, riconducibili al clima del Realismo Magico.
Ritenuto, non a torto, pittore solitario e appartato, sin dagli esordi la critica ne ha colto l’indipendenza ideativa, e lo ha descritto come un artista che rappresenta senza imitare alcun maestro (6). E’ il pittore della Roma sparita, che si incarica di dipingere con dedizione quasi monacale e con dovizia di particolari, e della povera gente (7), un’attitudine verso il sociale che lo avvicina alle esperienze condotte a Roma da Balla e da altri artisti sin dai primi anni del Novecento, al clima del cosiddetto “Socialismo Umanitario”. Una contiguità culturale testimoniata anche dal rinvenimento nell’Archivio Randone(8) di tre fotografie riproducenti opere di Benvenuto Ferrazzi, dedicate al buon Maestro Randone in segno di stima, ulteriore conferma degli ambiti d’interesse di quest’artista ancora poco studiato, che lo conducono ad affrontare i temi legati alla spiritualità profonda dell’uomo, con una particolare riflessione sugli aspetti escatologici della condizione umana (9).
“Un pittore dolorosamente attento alle voci delle cose che lo circondano (il quale) lascia che il suo spirito sia da esse dominato e devastato…” (10), così lo descrive Alfredo Sinibaldi il mecenate e sostenitore dell’artista che due anni prima, nello scritto Benvenuto Ferrazzi pittore macabro, lo aveva anche definito: “...Un uomo ingenuo. Non ha pretese. Non ha ambizioni. Non gli piacciono gli elogi. Vive poveramente perché ritiene che poche cose siano necessarie agli uomini e che non convenga divenir schiavi delle cose. E si meraviglia che gli uomini si affatichino tanto per ciò che è vano e transitorio…”(11)


 

Note:

  1. la piccola discrepanza di data è probabilmente spiegabile con il fatto che dal 1926 era diventato obbligatorio indicare, accanto all’anno in corso, anche quello corrispondente della cosiddetta “Era fascista”: il XIX andava dal 28 ottobre 1940 al 27 ottobre 1941.
  2. Stefania Massari, Francesco Negri Arnoldi, Arte e scienza dell’incisione, La nuova Italia Scientifica, Roma 1994, p. 56
  3. differente alla nostra per il particolare della firma vergata sul quaderno aperto, che reca scritto semplicemente: maggio 1931/Ferrazzi.
  4. Archivio Ferruccio Ferrazzi, Roma
  5. Laura Moreschini ravvisa l’affinità con il pittore simbolista americano Elihu Vedder (New York 1836 – Roma 1923) (cfr.: Laura Moreschini, Gli anni Venti. L’art Noveau e il Socialismo Umanitario, in Benvenuto Ferrazzi (1892 -1969) Il realismo fantastico tra le avanguardie del Novecento, catalogo della mostra a cura di Laura Moreschini e Valerio Rivosecchi, Musei della Scuola Romana Casino dei Principi Villa Torlonia Roma 25 maggio – 25 settembre 2016, Artemide editore 2016, p. 51), mentre nel 1986 Mario Quesada nota quella con lo svizzero Felix Vallotton (1865 –1925) (cfr.: Mario Quesada, Benvenuto Ferrazzi, scheda nel catalogo della mostra Roma 1934, a cura di Giuseppe Appella e Fabrizio D’Amico, Modena 1986, p. 176)
  6. Alfredo Sinibaldi, Benvenuto Ferrazzi pittore macabro, Cortona 1928, s.p.
  7. Cipriano Efisio Oppo, Benvenuto Ferrazzi pittore della povera gente, in “La Tribuna” 14 marzo 1934
  8. Francesco Randone, detto “Il Maestro delle Mura” (Torino 1864 – Roma 1935) era il padre di Orizia, la moglie di Ferruccio Ferrazzi. Pittore, ceramista ed educatore, è documentata la di lui vicinanza sia con la Società Teosofica che con la Massoneria; tra le fotografie vi è quella della tela intitolata Mia nonna morta (1922), già collezione Angelo Signorelli.
  9. non è forse del tutto casuale il fatto che la minuta di una lettera, rinvenuta nel già citato fascicolo “Piccone – Gasperini”, sia vergata sul retro di una comunicazione proveniente dalla Segreteria della Società Teosofica italiana.
  10. Alfredo Sinibaldi, L’opera di Benvenuto Ferrazzi, Roma 1930.
  11. Alfredo Sinibaldi, Benvenuto Ferrazzi pittore…op. cit. (1928), s.p.

 

 

 

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