


VINCENZO GEMITO NAPLES, 1852-1929
113 cm di altezza totale
Altre immagini
Provenienza
Acquistato dall'artista (o forse commissionato?) da Bianca e Giuseppe Falchi nel 1920/1; collezione Bianca e Giuseppe Falchi, Napoli.
Bibliografia
LETTERATURA COMPARATA
O.Morisani, Vita di Gemito, Napoli, 1936
A.Schettini, Gemito, Milano, 1944
Spoletto, Palazzo Racani Arroni, Temi di Vincenzo Gemito, 2 lug.-3 Spet. 1989, B.Mantura ed. M.S.de Martinis, Gemito, Roma, 1993
K.McArthur & K.Ganz, Vincenzo Gemito (1852-1929) Disegni e sculture a Napoli e
Roma, New York, 2000
F.Licht, Uno scalpello e un pennello, Vincenzo Gemito (1852-1929)/ Antonio Mancini (1852-1930)
Arte Italiana dalla Collezione Gilgore, Napoli, 2000
E.Bianchi, ‘Gemito, Vincenzo’, in Dizionario Biografico degli Italiani, Vol.53, 2000
G.Nocentini, Vincenzo Gemito: sculture e disegni, Arezzo, 2001
Napoli, Museo Nazionale e Real Bosco di Capodimonte, Gemito, dalla scultura al disegno, 10 Sett.-15 nov.2020, J.L.Champion, M.T.Contarini & C. Romano eds.
Pescara, Museo dell'Ottocento, Antonio Mancini/Vincenzo Gemito, 14 ott.2023-11 mar.2024,
M. Carrera, C. Sisi & I. Valente eds.
Sette anni dopo la morte di Vincenzo Gemito, avvenuta nel 1929, il suo biografo, Ottavio Morisani, fu il primo a raccontare che il Filosofo in bronzo dello scultore fu concepito tra la fine del 1882 e l'inizio del 1883 come prova, da parte dell'artista, che esisteva qualcuno in vita in grado di modellare con altrettanta efficacia un busto nello stile dell'antico Seneca in bronzo romano (fig. 1).
Fig.1
Rome, 1st century BCE/ AD, Pseudo- Seneca
Bronze, from the Villa of the Papyri, Herculaneum, now Museo Archeologico Nazionale, Naples
Gemito conobbe il Seneca grazie alle sue frequenti visite al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, e fu una delle tante opere che lui e i suoi amici artisti studiarono instancabilmente nei primi anni della loro carriera. Il risultato dell'esercizio a cui si riferiva Morisani – ovvero il bronzo oggi conservato al Museo Nazionale e Real Bosco di Capodimonte, Napoli (fig. 2) – ebbe un tale successo che, con esso, Gemito vinse la medaglia d'oro per la scultura all'Esposizione Universale di Parigi del 1900. Eppure, nonostante il grande successo riscosso, Gemito abbandonò la composizione fino al 1919. La versione qui presentata – fusa appena un anno dopo – e immessa sul mercato internazionale per la prima volta, è probabilmente la più bella mai apparsa sul mercato, nonché la più unica: a differenza delle innumerevoli altre versioni, questa è firmata e datata "1920" ed è presentata su un'erma in granito rosa e sul suo piedistallo originale in legno ebanizzato, anziché su uno zoccolo in bronzo integrale.
Fig.2
Vincenzo Gemito, Philosopher, 1883
Bronze, Museo Nazionale e Real Bosco di
Capodimonte, Naples
La biografia di Gemito forse spiega al meglio la complessa vita dell'artista, le sue influenze e il divario di quasi 40 anni tra la concezione di una delle immagini più significative della sua carriera e la sua successiva commercializzazione.
Il 17 luglio 1852, un bambino di un giorno fu abbandonato all'Ospedale degli Innocenti di Napoli. Fu battezzato Vincenzo Genito, ma un errore di trascrizione portò a chiamarlo Gemito.
Giorni dopo, fu adottato da Giuseppa Baratta e Giuseppe Bes. All'età di sei anni, Gemito vendeva caffè per le strade di Napoli per aiutare la madre adottiva, rimasta vedova, a guadagnarsi da vivere. Lavorò anche come sarto prima di diventare apprendista di due artisti napoletani (2). All'età di 12 anni si iscrisse all'Accademia di Belle Arti di Napoli, dove incontrò il suo amico di una vita Antonio Mancini e dove una terracotta da lui modellata in seguito ricevette tali elogi da essere acquistata dal Re Vittorio Emanuele II e donata alla Reggia di Capodimonte, a Napoli. Nel 1877, all'età di 25 anni, Gemito si recò a Parigi determinato a lasciare il segno. Nello stesso anno causò scandalo al Salon presentando la sua figura a grandezza naturale del Pescatore, oggi conservata al Museo Nazionale del Bargello di Firenze. Il realismo – o, "bruttezza", come molti lo definirono all'epoca – del ragazzo nudo in precario equilibrio su una roccia che estrae un amo dalla bocca del pesce era sconvolgente e diverso da qualsiasi cosa le masse parigine avessero visto fino a quel momento, eppure attirò innumerevoli visitatori, critici giornalistici, nonché fama e commissioni per l'artista (3). Nonostante ciò, Gemito rimase povero e, con la sua musa (e fidanzata), Mathilde Duffaud affetta da tubercolosi, tornò in fretta a Napoli nel gennaio del 1880. La Duffaud morì nell'aprile successivo, dando inizio alla prima delle numerose crisi psicologiche di Gemito. Un breve momento di tregua arrivò entro un anno dall'incontro con Anna Cutolo, che posava per Domenico Morelli, e divenne rapidamente la sua modella, la sua musa ispiratrice e - nel 1882 - sua moglie.
Anna era profondamente devota al marito e si prese cura di lui durante i terribili anni in cui visse chiuso in una stanza, seduto in un angolo o sdraiato sul pavimento. Nei momenti di lucidità, disegnava e talvolta persino modellava in cera e terracotta. In due rarissime occasioni prese persino in mano lo scalpello dello scultore per scolpire due ritratti in marmo della moglie.
Tra il 1883 e il 1886, con l'aiuto del suo mecenate belga, il barone de Mesnil, aprì una propria fonderia in via Mergellina a Napoli con l'obiettivo di far rivivere il processo della cera persa per la fusione dei bronzi. Fu in questo contesto che Gemito si mise al lavoro sulla prima versione del Filosofo, ispirata al suo patrigno e assistente in fonderia, Francesco Jadicicco, detto "Masto Ciccio" (fig. 3).
Nel 1887 Gemito ricevette l'incarico di realizzare una statua in marmo a figura intera di Carlo V per la facciata di Palazzo Reale a Napoli. La combinazione della scultura in marmo, che era il suo mezzo meno preferito, e il fatto che si impegnasse a scolpire il ritratto di un personaggio storico piuttosto che un'opera d'arte basata su una persona vivente, gli causò un'enorme sofferenza e lo portò al suo secondo - e più profondo - crollo nervoso, che sarebbe durato quasi 22 anni. Durante quel periodo, visse in isolamento autoimposto nel suo appartamento, sebbene trascorse anche periodi di confinamento in un ospedale psichiatrico, soffrendo di deliri e allucinazioni.
Pur continuando a lavorare, abbandonò gli strumenti da scultore e si concentrò sul disegno di centinaia di opere uniche e potenti su carta, che in qualche modo lo mantenevano in contatto con la realtà.
Abbiamo poche prove sugli effetti su di lui della morte di Anna nel 1906, ma sappiamo che emerse dal sequestro nel 1909. Come osservò Alfredo Schettini, un altro dei suoi biografi:
In quel periodo, nel 1909, Gemito in tuba e in finanziera, con la rosetta della Legion d'onore all'occhiello, la pipetta di radica in una mano e nell'altra il bastone che aveva per manico un piede di bronzo dell'"Acquaiuolo", usciva la prima volta dopo i diciott'anni di volontaria prigionia, per recarsi in visita ufficiale dai duchi d'Aosta nella Reggia di Capodimonte.
(op.cit., 1944, p.16)4
In seguito, tornò al lavoro e si dedicò nuovamente alla modellazione di cere e terrecotte, nonché alla fusione di piccole opere in argento, oro e bronzo, sempre in omaggio ai grandi maestri dell'antichità. Fu un periodo di intensa attività in cui espose opere a livello nazionale e internazionale e creò alcune delle sue opere più grandi, tra cui il suo capolavoro mozzafiato, la Medusa (1911), oggi al J.P. Getty Museum di Malibu (fig. 4). Gemito morì a Napoli il 1° marzo 1929. Aveva lavorato assiduamente nella sua fonderia nei giorni precedenti e, al suo ritorno a casa, cadde in un profondo delirio da cui non si svegliò mai più.
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