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Opere
Ridolfo SCHADOW
Ritratto femminileCarrara marbleheight cm 52 , base cm 67Firmato e datato sul verso: Rudolph Schadow Fec. Romae 1816
VENDUTO
Bibliografia
Götz Eckart, Ridolfo Schadow. Ein Bildhauer in Rum zwischen Klassizismus und Romantik, Köln 2000.
Giovanna Capitelli, Stefano Grandesso, Roma fuori di Roma, in Maestà di Roma da Napoleone all’Unità d’Italia, catalogo della mostra di Roma, progetto di S.Susinno, realizzazione di S.Pinto con L.Barroero e F.Mazzocca, Milano 2003, pp. 589-600.Stefano Grandesso, Pietro Tenerani, Cinisello Balsamo 2003.
Barbara Musetti, in Maestà di Roma da Napoleone all’Unità d’Italia, catalogo della mostra di Roma, progetto di Stefano Susinno, realizzazione di Sandra Pinto con Liliana Barroero e Fernando Mazzocca, Milano 2003, p. 388.
Stefano Grandesso, Bertel Thorvaldsen (1770-1844), catalogo delle opere a cura di Laila Skjøthaug, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2010 (seconda edizione italiana rivista e accresciuta e prima edizione inglese, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale 2015).
Tra gli artisti della cerchia di Bertel Thorvaldsen, ne aveva appresa la lezione proiettandola immediatamente verso esiti originali Ridolfo Schadow, nato tre anni prima del maggiore allievo del danese, Pietro Tenerani, e prima di lui affermatosi come artista indipendente grazie al successo internazionale di una limitata serie di opere che replicò per i maggiori collezionisti e mecenati di scultura del tempo.
L’artista, scomparso prematuramente nel 1822, era nato a Roma ma cresciuto a Berlino, allievo del padre, il celebre scultore Johann Gottlieb. Nel 1810 era tornato a Roma in compagnia del fratello, il pittore Wilhelm, acquisendo lo studio che era stato di Christian Daniel Rauch e decidendo di stabilirvisi. L’influsso di Thorvaldsen era evidente fin dalla prima opera inviata all’Accademia di Berlino nel 1812, il Paride, fuso in bronzo postumo da una forma approntata da Tenerani (Pommersfelden, Kunstsammlungen Schloss Weissenstein), e la consuetudine con i pittori Nazareni favorita dal fratello si rivelò nella conversione al cattolicesimo.
Un ciclo di tre sculture fu dedicato alla rappresentazione di figure femminili colte durante un gesto comune o l’attività della vita quotidiana. Si trattava della Fanciulla che si lega il sandalo del 1813, della Filatrice del 1816 e della Fanciulla con colombe detta anche L’innocenza. Le opere erano prive di un soggetto storico e letterario e si rifacevano piuttosto a un tipo di scultura di genere all’antica – la Fanciulla che lega il sandalo richiama naturalmente lo Spinario – che avrebbe ispirato anche a Thorvaldsen il Pastorello del 1817, anch’esso privo di una caratterizzazione tematica precisa. In queste opere l’equilibrio tra il dato naturalistico del soggetto e l’idealismo della rappresentazione contemplava ben assimilati rimandi alla statuaria classica. La rappresentazione di fanciulle assorte nelle loro semplici occupazioni tuttavia recava un nuovo indirizzo figurativo ed espressivo, riconducibile a una connotazione di intimismo e a una nuova sensibilità per le poetiche sentimentali che avrebbero caratterizzato l’arte dell’età della Restaurazione, dopo la vocazione pubblica e pedagogica di quella rivoluzionaria e imperiale.
Lo straordinario successo riscosso – la Filatrice fu eseguita per Federico Guglielmo III di Prussia, il principe Esterhazy, il sesto Duca di Devonshire, il conte Giovanni Edoardo De Pecis, lo zar Nicola I – non impedì a Schadow di affrontare anche altri generi della scultura. La statua sedente di Cupido eseguita nel 1819-21 per De Pecis (Milano, Pinacoteca Ambrosiana) era una variazione su quella omonima thorvaldseniana, in una posa derivata da quelle sedenti del Pastorello e del Marte. Anche la lezione del Thorvaldsen eroico del Giasone (Copenaghen, Thorvaldsen Museum) e del fregio del Trionfo di Alessandro (Roma, Palazzo del Quirinale) doveva per lui risultare decisiva, negli straordinari esiti dei rilievi condotti per il duca di Devonshire, rappresentanti Il ratto delle figlie di Leucippo e Castore e Polluce in battaglia con Ida e Linceo (Chatsworth, Devonshire collection), e nell’impegnativo gruppo colossale di Achille e Pentesilea (già a Berlino, Schloss, Königskammern), ultimato in marmo dopo la sua morte da Emil Wolff, autore anche del suo monumento funerario (Roma, Sant’Andrea delle Fratte). L’opera traduceva finalmente in grande le idee del maestro per il gruppo che avrebbe dovuto fare da pendant all’Ercole e Lica di Canova a palazzo Torlonia, mai eseguito ma studiato dal danese in una serie di disegni e bozzetti accessibili sicuramente a Schadow, che forse poté considerare anche quelli canoviani di analogo soggetto.
Questo busto costituisce una preziosa addenda al limitato catalogo dell’artista, che si cimentò più volte nel campo del ritratto, eseguendo per esempio i busti di Winckelmann e di Haendel per il Walhalla di Regensburg voluto da Ludovico di Baviera e tra le figure femminili ritrasse nel 1816 e nel 1821 la contadina di Albano idoleggiata dagli artisti per la fisionomia classica e raffaellesca Vittoria Caldoni.
In questo ritratto di una giovane donna non ancora identificata, Schadow operava in linea con il registro della coeva e citata scultura di invenzione. Il volto ha una connotazione psicologica mite e intimista e la sottolineatura sentimentale dell’espressione è resa più eloquente dal leggero scarto laterale della testa. L’elaborata acconciatura, ornata da una corona di fiori, non è all’antica ma di foggia contemporanea, come il semplice e sottile abito di gusto impero avvolto sulla spalla da uno scialle. Alcuni dettagli esecutivi, come la resa dei fiori in alcuni punti, rivelano non uno stato di conservazione compromesso, anzi la scultura è perfettamente conservata nella sua pelle originale, ma la finitura non portata a compimento.
Stefano Grandesso
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