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Opere
ANTONIO CANOVA POSSAGNO 1757-VENICE 1822
Figura virile drappeggiata, 1798Matita su carta biancamm. 239 x 170Iscritto in alto a matita: "di 7 febbraio 1798” . Sul lato destro la scritta ad inchiostro: "Questo disegno è di Antonio Canova ed è tolto dall'album / di lui medesimo da me posseduto L deMSpada"; in basso la scritta ad inchiostro: "Given to me by Monsignor Medici Spada Roma May in 1830".
SOLDProvenienza
Domenico Manera, cugino di Canova; Cincinnato Baruzzi, scultore bolognese; Lavinio Spada de’ Medici (Macerata 1801 - Firenze 1864); collezionista inglese, sconosciuto; Roma, Giuliano Briganti; Roma, collezione privata.
Le iscrizioni presenti nel foglio confermano la sua originaria appartenenza ad uno dei più famosi taccuini di disegni di Antonio Canova, quello oggi conservato presso la Biblioteca Civica di Cagli, cui è stato dedicato uno studio molto accurato (H. Ost, Ein S kiuenbuch Antonio Canova 1796 — 1799, Tiibingen 1970), ripreso in occasione del restauro e della sua esposizione al pubblico (S. Papetti, Il taccuino canoviano di Cagli, in Il tempo del bello Leopardi e il Neoclassico tra le Marche e Roma, catalogo della mostra di Recanati —Villa Colloredo Mels – a cura di S. Papetti, Venezia, Marsilio, 1998, pp. 94 — 133).
Il taccuino, inizialmente appartenuto a Domenico Manera, cugino di Canova, era stato da lui donato allo scultore bolognese Cincinnato Baruzzi che, entrato nel 1819 come collaboratore nello studio di Canova a Roma, era riuscito ad acquistare, dopo la morte nel 1822 del maestro, la fiducia degli eredi tanto da essere incaricato di mandare avanti l’atelier, portando a termine alcune opere che, iniziate, non erano state terminate.
Tornato nel 1830 a Bologna, per subentrare a De Maria come professore di scultura all’Accademia di Belle Arti, proprio il 21 aprile di quell’anno donò il taccuino a Lavinio Spada de’ Medici (Macerata 1801 — Firenze 1864), definito nella dedica “suo particolarissimo mecenate”. Lo Spada regalò a sua volta poco dopo – nel maggio sempre del 1830 – , estraendolo dal taccuino impropriamente definito nella scritta a penna “album”, questo disegno a un non meglio identificato collezionista inglese che ha vergato nella sua lingua l’altra scritta a penna in calce al foglio.
La personalità di Lavinio Spada, rivalutata in occasione della esposizione nel 1998 del taccuino, si rivela particolarmente interessante da farne un protagonista della cultura della Restaurazione. Incoraggiato agli studi letterari dalla madre Giulia de’ Medici, frequentò il Collegio dei Tolomei a Siena, dove compì gli studi liceali, per poi passare all’Università Pisa, dove si dedicò al diritto civile, penale e canonico. Dopo aver frequentato a Firenze i raffinati circoli culturali della contessa d’Albany e della zia Carlotta de’ Medici, rientrò nelle Marche dove, stabilitosi a Pesaro, ebbe relazioni con Perticari e Monti, estimatori delle sue prime prove poetiche, apprezzate peraltro anche da Leopardi. Trasferitosi a Roma e frequentata l’Accademia Ecclesiastica, ricevette dal pontefice marchigiano Leone XII l’incarico di prolegato a Ravenna, dove promosse la fondazione di un’Accademia di Belle Arti, realizzata nel 1827, per la quale ottenne in dono il calco in gesso dell’ Endimione di Canova. Del resto proprio in questo periodo era entrato in contatto con un grande amico e interprete dello scultore Pietro Giordani. La sua carriera proseguì come delegato a Spoleto, per poi concludersi a Roma. Qui, dopo aver abbandonato la prelatura, sposò nel 1848 la bellissima contessa polacca Natalia Komar. Alla sua scomparsa nel 1860, le fece erigere nella chiesa della Minerva un monumento sepolcrale affidandone l’esecuzione a Pietro Tenerani. Una scelta forse dovuta anche al fatto che la zia Carlotta de’ Medici possedeva il grande capolavoro dello scultore, la Psiche ammirata da quanti frequentavano il suo salotto fiorentino.
La cultura e la passione collezionistica dello Spada lo facevano dunque un proprietario ideale dello straordinario taccuino canoviano finito alla Biblioteca di Cagli. I quarantaquattro disegni che vi sono contenuti — a cui vanno aggiunti tredici fogli sciolti – presentano infatti i motivi più ricorrenti nella produzione grafica del grande sculture. Molte sono le cosiddette “accademie”, studi di figure virili nude e di figure panneggiate. Ma vi sono anche alcune prime idee per monumenti celebri, come il mausoleo di Maria Cristina d’Austria a Vienna, per sculture di soggetto mitologico, per dipinti a tema sacro, come il maestoso Compianto oggi nel Tempio di Possagno. Come negli altri taccuini canoviani, vi ritroviamo anche alcuni schizzi presi dal vero, in questo caso durante il viaggio in Austria del 1798.
Questi fogli sono datati tra il 1797 e il 1799 e possono essere utilmente confrontati con quelli presenti nel nucleo più cospicuo della grafica canoviana, i taccuini conservati al Museo Civico di Bassano (per la descrizione completa di questa serie, variamente pubblicata, si rimanda al volume voluto dalla Fondazione Giorgio Cini II Museo Civico di Bassano. I disegni di Antonio Canova, a cura di E. Bassi, Venezia, Neri Pozza Editore, 1959). In particolare per il nostro disegno, come per gli altri studi di virili figure panneggiate presenti nel taccuino di Cagli, i riferimenti più puntuali si trovano nell’Album C 1 di Bassano dove sono presenti una serie di figure virili panneggiate. Si vedano in particolare i fogli numerati 17 e 50 (C1.26.97 e C1.27.98), datati entrambi 1794, con due giovani uomini ammantati anch’essi appoggiati ad un lungo bastone, come nel nostro disegno (Disegni di Canova del Museo di Bassano, catalogo della mostra di Milano — Biblioteca Trivulziana — a cura di F. Rigon con testi di G.C. Argan e F. Barbieri, Milano, Electa, 1982, p. 40).
Ma anche nello stesso taccuino di Cagli è presente una serie di figure del medesimo tipo, in particolare una in piedi col bastone nella sinistra. Ci sono però dei particolari che caratterizzano il nostro disegno, rendendolo unico e un po’ speciale rispetto agli altri. Prima di tutto la presenza sul fondo a sinistra di due figure ammantate che sembrano delle dolenti che si nascondono il volto. Richiamano soluzioni presenti in altre opere di Canova, come nel bassorilievo del 1790-1792 con Ecuba e le donne troiane che offrono il peplo a Pallade, ispirato all’Iliade. Del resto la stessa figura principale, con il viso nascosto dalla mano sinistra che sorregge il lungo bastone ricorda quella presente al centro di un altro bassorilievo con Critone che chiude gli occhi a Socrate sempre del 1790-1792. Canova aveva scelto dunque di non rappresentare direttamente i sentimenti dei personaggi raffigurati, nascondendone deliberatamente il volto, lasciando allo spettatore la libertà di intuire la loro espressione, rendendo le immagini tanto più commoventi e potenti.
Per quanto riguarda le loro caratteristiche formali non si tratta di disegni preparatori a opere specifiche, ma, come abbiamo visto, confrontabili con alcune delle più belle creazioni canoviane. Non si tratta neanche di “accademie” nel senso più tradizionale del genere. Lo scultore, che nei suoi marmi mostrava una perfezione impareggiabile, qui costruisce le immagini con pochi segni essenziali usando con una forza espressiva straordinaria la matita nera, ora con segni più marcati e spessi, come nelle due linee sicure con cui traccia il profilo del bastone, ora con tratti più sottili, nel delineare i volumi e le pieghe del mantello o nell’incidere le due figure ammantate del fondo. Quello che sembra interessargli non è tanto la bellezza, convenzionale e fine a se stessa, del disegno di tipo accademico, quanto la sua espressività. Per lui disegnare era un irrinunciabile esercizio quotidiano — ci ha lasciato infatti moltissimi fogli – di ricerca, una ricerca incessante che gli consentiva di sperimentare la propria mano, come i musicisti o i cantanti che non possono mai smettere di esercitarsi, ma anche la propria creatività, cercando nuove soluzioni espressive e sperimentando varianti, anche minime, di uno stesso motivo. Del resto i panneggi, cioè le modulazioni delle pieghe di un mantello, di un peplo, di una veste, sono stati, insieme al nudo, uno dei caratteri fondamentali dell’arte di Canova.
In questo caso appare affascinante proprio il contrasto tra il grande rilievo volumetrico e plastico della figura centrale e la definizione lineare quasi evanescente di quelle sul fondo. Ci ricorda quello presente negli stessi bassorilievi in gesso, cui questo disegno appare come abbiamo visto correlato, dove a figure sporgenti se ne alternano altre come schiacciate —o appena incise — sul fondo.
Prof. Fernando Mazzocca
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