
VINCENZO GEMITO NAPLES, 1852-1929
Bibliografia
Salvatore Di Giacomo, Vincenzo Gemito. La vita e l’opera, Minozzi, Napoli 1905, pp. 155-156.
Anna Villari, Vincenzo Gemito (Napoli, 1852-1929), in V. Bertone, Disegni del XIX secolo della Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino. Fogli scelti dal Gabinetto Disegni e Stampe, t. I e II, II, Leo S. Olschki, Firenze 2009, pp. 567-569.
Denise Maria Pagano, Gemito, catalogo della mostra, Electa, Napoli 2009.
Per Vincenzo Gemito l’esercizio del disegno fu costante, del tutto parallelo e connaturato all’attività scultorea. Fu per lui infatti pratica finalizzata allo studio della forma plastica, e strumento principe di indagine e conoscenza del reale, sin da quando, giovanissimo, condivise con il coetaneo pittore Antonio Mancini (1852-1930), suo grande amico, l’abitudine di ritrarre dal vero scene di vita quotidiana nei vicoli e nelle piazze di Napoli. Soggetto ricorrente di tali esercitazioni era per entrambi il mondo infantile degli scolaretti e degli scugnizzi, dei piccoli pescatori o degli acquaioli, di piccoli cantori o di “malatielli”. Per Gemito, dunque, nella prima parte della sua attività artistica, il disegno fu il mezzo per approfondire lo studio della fisicità corporea e del movimento della figura, come dimostra la serie grafica in relazione con l’esecuzione del Pescatoriello del 1875. Ma dal momento in cui deflagrò in lui l’instabilità mentale che lo portò al ricovero nel 1887 – come Mancini, d’altronde, pochi anni prima – nell’Ospedale psichiatrico di Napoli, e, da quando, dopo essere scappato dal nosocomio, egli si rifugiò nel completo isolamento della propria casa in Via Tasso, ove rimase sino al 1909 senza uscirne, ecco che il disegno divenne, per forza di cose rispetto alla scultura, il suo mezzo principale di espressione (Di Giacomo 1905, pp. 155-156). Ed egli vi andava fermando un vario e molteplice insieme di “progetti di ornati, modelli decorativi, nature morte, fiori e frutta, composizioni di pesci e di uccelli o studi di figura e veri e propri ritratti” (Villari 2009, p. 567). E la grafica diventò per lui il tramite di una meditazione visiva dal carattere quasi iper-realista, carica di una sensibilità astraente e allucinata, come è dato riscontrare nei suoi bellissimi Autoritratti.
Al 1914 risalgono due Ritratti a matita e biacca, di grande formato, che raffigurano due giovani adolescenti appartenenti alla famiglia Bertolini di Napoli. I Bertolini possedevano e gestivano il Palace Hotel Bertolini al Parco Grifeo di Napoli, e probabilmente i due disegni furono commissionati a Gemito per essere poi esposti nei saloni dell’Hotel. I due ritratti, ora nelle collezioni del Philadelphia Museum of Art, presentano Laura Bertolini e suo fratello, circondati di attributi infantili: vestita ancora da bimba lei, con il gioco del cerchio e un cagnolino accanto, ma con il corpo e il volto già quasi adulto, offre un singolare contrasto tra apparenza ed intima essenza dell’identità ritratta.
Così il ritratto di suo fratello, vestito in abito signorile e con largo colletto bianco da bambino borghese, appare così differente dagli scugnizzi di strada ritratti quasi trent’anni prima dallo scultore: egli sosta in piedi in un corridoio, posando languido davanti ad una misteriosa scalea, e tiene in spalla un fucile, con una mano per metà infilata nel taschino dei pantaloni guarda misterioso di lato, sfuggendo lo sguardo dell’osservatore.
Ci siamo soffermati su questi due Ritratti dei fratelli Bertolini perché il disegno che qui si presenta è conosciuto con il titolo di Ritratto di Bertolini (riprodotto in Gemito 2009).
Di un giovane uomo dell’età di circa vent’anni è ritratta solo la testa, molto accuratamente e sensibilmente chiaroscurata, mentre parte del busto con giacca, camicia e cravatta è solo appena schizzata. Egli guarda pensieroso, diritto verso l’osservatore, con una espressione sospesa di malinconia. Ha un cappello portato all’indietro, la larga tesa rialzata sulla bella fronte, in un atteggiamento che potrebbe essere di spavalderia, ma che invece – data la tristezza soffusa dello sguardo e la dolcezza con cui il chiaroscuro definisce il modellato – esprime solo la contemporaneità, l’appartenenza di quel volto bello al tempo dello scultore.
La forma del viso, il taglio degli occhi, la bocca carnosa, sembrerebbero in tutto corrispondere ai tratti fisiognomici del Ritratto del ragazzo con fucile del Philadelphia Museum of Art. Stando alla datazione dei fogli, però, entrambe le prove grafiche sarebbero state eseguite nello stesso anno, il 1914, e i due personaggi mostrano una differente età.
Matita e carboncino su carta retinata beige, cm 140,2 x 79,8
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